Ho sempre creduto che per cambiare il mondo, e renderlo più gentile e vivibile, fosse necessario cominciare dall’educazione.
Prima della nascita delle mie figlie pensavo che questo si potesse ottenere lavorando principalmente all’educazione dei bambini.
Con il tempo, invece, ho capito che dobbiamo educare prima noi stessi, in quanto adulti, se vogliamo formare generazioni di persone sicure, empatiche e rispettose.
Questo non è sempre facile.
I valori culturali che ti sono stati trasmessi o i consigli non richiesti che potresti ricevere, influiscono, spesso senza che tu ne sia consapevole, sul modo in cui ti prendi cura del tuo bambino.
Se, però, riconosci il desiderio e la necessità di iniziare a scegliere la tua verità genitoriale, oltre i modelli imposti, questo articolo è la lettura giusta per te.
Approcci all’accudimento del bambino
Il primo dei cinque sensi che un bambino sperimenta, ancora prima di venire al mondo, è il tatto.
Si succhia le dita già nel ventre materno e vive i primi anni di vita con una fortissima necessità di esperienze tattili.
Il bisogno di prossimità fisica non è solo nei confronti della madre, ma anche nella sperimentazione dell’interazione con il mondo.
Le pratiche di cura che un bambino può ricevere sono riconducibili a diversi modelli di accudimento che in letteratura troverai spesso citati come “alto” e “basso” contatto: qui è dove ti voglio ricordare che queste definizioni contrapposte tendono a polarizzare la genitorialità a due estremi opposti.
Invece, a noi interessano molto di più le scale di grigio e tutti i colori dell’arcobaleno, che caratterizzano gli infiniti modi in cui puoi essere genitore.
Ti parlerò di seguito di queste due “estremità”, senza dimenticare tutto ciò che c’è nel mezzo.
Accudimento ad alto contatto
In ciò che viene definito “accudimento ad alto contatto” il bisogno di fisicità del neonato viene coltivato tramite una vicinanza prolungata e continua con la madre e altre figure di riferimento.
Le necessità del bambino vengono ampiamente accolte, per esempio attraverso l’allattamento a richiesta, il contatto pelle a pelle o il co–sleeping.
Questo modello di accudimento è antichissimo, ancora presente nel Sud del mondo, nelle zone dal clima caldo, nelle società non industrializzate, fra i nomadi o i cacciatori-raccoglitori.
Alto contatto e babywearing
Nell’alto contatto la vicinanza fisica fra madre e bambino è coltivata principalmente attraverso la pratica del babywearing, ovvero “l’abitudine di portare addosso il bambino”, con diversi tipi di supporti.
In molte parti del mondo, il portare è un mezzo di trasporto che risponde alla necessità di trasportare con sé il bambino dappertutto, con le mani libere per svolgere le attività di sussistenza.
I piccoli sono portati non solo dalla mamma, ma anche dal padre e da altri membri della comunità.
Portare non è solo una questione di comodità, ma una pratica di accudimento che permette al bambino di continuare a vivere la sicurezza del grembo materno, sperimentando al tempo stesso un passaggio graduale verso l’esterno.
Mentre nel bambino cresce la curiosità di esplorazione, anche le posizioni del portare si evolvono.
Si passa dal portare davanti, in un tenero abbraccio, al portare sul fianco e sulla schiena, quando il bambino inizia a sentirsi abbastanza sicuro per godere degli stimoli del mondo.
Se vuoi approfondire le diverse posizioni del babywearing, durante la crescita del tuo bambino, puoi leggere il mio articolo qui.
Accudimento a basso contatto
Negli ultimi due secoli, soprattutto nell’Occidente, si è privilegiato quello che viene definito “modello a basso contatto”.
Si basa su una relazione tra madre e bambino caratterizzata dalla distanza fisica, con preferenza del linguaggio verbale e visivo.
Questo “distacco” si riflette sin dal parto, perché prevale la medicalizzazione, l’utilizzo di strumenti di monitoraggio e di analisi prenatale.
Fin dai primi giorni di vita, il neonato trascorre molto tempo da solo in ovetti, carrozzine o passeggini. Dorme nella propria cameretta (o almeno ci prova!) e l’allattamento è programmato secondo orari specifici. Il babywearing è poco praticato o considerato scomodo.
La distanza fra madre e figlio è caldeggiata nel timore di creare dipendenza o vizio nel bambino se sta troppo tempo a contatto con la sua figura di riferimento.
La convinzione è che nel distacco il bambino possa sviluppare in modo precoce la propria autonomia.
J. Bowlby, colui che ha elaborato la teoria dell’attaccamento, scrive, invece: “Abbiamo ampie prove del fatto che gli esseri umani di ogni età sono più sereni […] se possono confidare nel fatto che al loro fianco ci siano più persone fidate che verranno loro in aiuto in caso di difficoltà. […]”.
“It takes a village to raise a child” (Per crescere un bambino, serve una comunità)
L’istinto primordiale di ogni mamma, compreso il tuo, sa che è proprio quel contatto e quella cura che permetterà al bambino di staccarsi sicuro e di sperimentare la propria indipendenza.
In passato, anche in Europa, portare i bambini era una pratica diffusa.
Questa è andata perdendosi a causa dei cambiamenti sociali degli ultimi decenni e del sovvertimento della struttura familiare.
Oggi, l’accudimento grava su una famiglia spesso mononucleare o che non può contare sull’aiuto di una comunità.
Di norma, i ritmi frenetici impongono ai genitori di trascorrere molto tempo fuori casa oppure le cure del bambino sono affidate ad un singolo genitore, generalmente la madre, mentre l’altro lavora.
In questo scenario, e senza supporto, non è sempre possibile per le famiglie darsi la possibilità di favorire un accudimento ad alto contatto.
L’isolamento del bambino è spesso amplificato anche dal massiccio uso della tecnologia come televisione, tablet o altri strumenti hi-tech.
Questi sono usati anche come conforto psicologico, spesso proprio per alleviare le fatiche dell’occuparsi a tempo pieno della cura dei piccoli umani, senza poter contare su altri aiuti.
“È possibile integrare allo stile di vita occidentale moderno un accudimento che favorisca cure prossimali in modo sostenibile?”
Questa è una delle domande che mi vengono maggiormente poste durante i miei percorsi.
I limiti che incontriamo in tal senso sono legati a tematiche socio-culturali molto ampie, che potrebbero farci pensare di non aver accesso alla possibilità di cambiare il paradigma in cui siamo inseriti.
Tuttavia, a mio avviso, è sempre importante ricordarsi di agire localmente e pensare globalmente: se è vero che le problematiche che affrontiamo hanno una portata mastodontica, diamoci la possibilità di pensare che ognuno di noi fa la differenza, ogni giorno, nelle piccole-grandi cose.
Come si traduce questo?
Nelle nostre scelte, guidate dalle nostre priorità.
Nel mio lavoro, infatti, accompagno le famiglie perché possano entrare in contatto con la loro verità genitoriale, oltre i modelli preconfezionati o quelli trasmessi dalla famiglia.
Se anche tu vuoi iniziare a percorrere questa strada, puoi partire da questi tre passi:
– i tuoi obiettivi: chiediti quale direzione vuoi dare all’accudimento di tuo figlio e quanto credi sia importante per te crescerlo nel rispetto dei suoi e dei tuoi bisogni;
– effetti a lungo termine: le scelte che farai in termini di accudimento avranno effetti a lungo termine sul tuo bambino. Ricorda anche che essere un genitore consapevole non è un attributo con cui si nasce ma scaturisce gradualmente nello “stare nel flusso degli avvenimenti”;
– i tuoi valori: quali sono le cose in cui credi? Non si tratta di scegliere fra un modello di accudimento migliore rispetto ad un altro, ma di elevare la tua coscienza e capire cosa ti fa stare a tuo agio nel rapporto con tuo figlio.
Vuoi portare il tuo bambino?
Scopri come posso accompagnarti per integrare il babywearing, scegliendo la modalità che più si adatta a te e al tuo stile di vita.
Vuoi intraprendere un percorso, insieme a me, prendendoti tutto il tempo per imparare a usare il babywearing, sia dal punto di vista tecnico, sia come strumento nella relazione con il tuo bambino?
Inizia da qui.
Porti il tuo piccolo, ma vuoi trarre il meglio dal supporto che già possiedi o sistemare tecniche già sperimentate in autonomia con la fascia? Una consulenza è quello che fa per te! Scoprila qui.